A volte capita di vedere la generalizzazione di usi e costumi che uno crede sbagliati, e al di là delle minime iniziative individuali, uno si sente smarrito di fronte all’immenso potere dei mass media o agli orientamenti culturali stabiliti.

Ma non è per questo che ti arrendi, eheh.

Perché ci sono cose che sembrano piccole o insignificanti, ma si sente che dovrebbero cambiare. E a volte succede.

Precisamente, vi dico che, anche se credo che sia una battaglia persa, ho sempre pensato che i nomi di paesi, luoghi e persone non dovrebbero essere tradotti, ma rispettati nella sua propria lingua d’origine.

Mi sembra un atteggiamento molto arrogante, tra l’altro molto tipico della natura umana, cambiare il nome di un luogo per chiamarlo qualcos’altro nella propria lingua.

È come cambiare il nome di una persona e costringerla a rispondere al nome tradotto.

In effetti, molti nomi, come Buenos Aires, non sono tradotti a livello internazionale, e sembrerebbe strano che un anglofono la chiamasse “Good Airs” o un italiano “Buone Arie”…

Tutto ovviamente dipende dall’abitudine. Ci sono molti nomi che sono usati in modo uniforme nella loro versione originale e sono conosciuti in tutto il mondo come segue: Montevideo, Rio de Janeiro, Sydney, Bogotá, Guatemala…

Inoltre, a volte in alcune lingue i cambiamenti sono così sottili che non sembrano necessari. Quale sarebbe il senso di chiamare a “Brasil” in inglese “Brazil” o in italiano “Brasile” e cambiare il suo nome soltanto con una piccola letterina?

La stessa “Italia” è fortunatamente anche “Italia” in spagnolo, “Italy” in inglese, “Italie” in francese, “Italien” in tedesco. Modifiche tanto minime quanto inutili.

Altri cambiamenti, al contrario, sono bruschi: “Germania” è in realtà “Deutschland” in tedesco. In inglese “Germany”, in francese “Allemagne”, in spagnolo “Alemania”, in polacco “Niemcy”, in islandese “Þýskalandi”, in svedese “Tyskland”. Nessuno assomiglia al vero nome del paese.

Alcune delle versioni usate in Occidente sono distorsioni linguistiche delle vere denominazioni.

Ad esempio, il nome della capitale cinese è stato erroneamente distorto in Pechino, quando il vero nome (che ha raggiunto una certa diffusione mondiale dopo l’ascesa della Cina come potenza e le Olimpiadi del 2008) è “Beijing”. Beijing significa “capitale del nord” (Bei: nord; jing: capitale). Pechino (“Pekín” in spagnolo, “Peking” in tedesco, “Pékin” in francese) è un termine improprio.

Altri derivano da confusione geografica: la Birmania (che gli inglesi ribattezzarono “Burma”) è in realtà la regione più importante del Myanmar, che è il vero nome del paese.

Per questo, per quanto possibile, per senso di rispetto io cerco di imparare ed usare quelle denominazioni originali, anche se a volte le devo tradurre per evitare confusione, perché chi legge non le capisce.

Forse, tuttavia, quella battaglia non sia definitivamente persa.

Dopo la decolonizzazione dell’Impero Britannico, diversi paesi scartarono il nome inglese imposto dal colonizzatore e recuperarono nomi locali. Così, Ceylon divenne Sri Lanka, Rhodesia si trasforma in Zimbabwe, Bechuanaland divenne indipendente come Botswana e l’Alto Volta rinasce come Burkina Faso.

Anche la colonia francese di Dahomey viene ribattezzata “Benin” e la antica Somalia Francese oggi è chiamata Djibouti.

Nel frattempo, la Costa d’Avorio cerca che il suo nome non sia tradotto a livello internazionale e incoraggia l’uso della versione francese “Côte d’Ivoire”.

Di recente, il governo turco ha deciso di rafforzare il riconoscimento internazionale della Turchia con il suo nome nella loro lingua: “Türkiye”.

E dopo la Coppa del Mondo, il Galles utilizzerà a livello internazionale il nome nella sua lingua gaelica: “Cymru”.

Un’altra denominazione scorretta che si è diffusa nel mondo è quella di chiamare “America” agli Stati Uniti ed “americani” agli statunitensi. Quando “America” ​​è il nome dell’intero continente e “americani” siamo tutti noi che ci siamo nati qui, dal Canada alla Terra del Fuoco.

Questa modalità è così installata, che nella lingua inglese (e in molte altre come il francese o il tedesco) non esiste una parola che significhi “statunitense”. Solo “American”.

E in italiano c’è “statunitense” ma non si usa.

Ma, tuttavia, quando gli statunitensi  dicono “South America” ​​(cioè il sud dell’America) non si riferiscono al Texas o alla Florida, ma al Brasile, all’Uruguay, all’Argentina… Il sud del continente…

Proprio il nome America deriva dall’esploratore e cosmografo italiano Amerigo Vespucci, che partecipò a spedizioni nel Nuovo Mondo alla fine del XV secolo e di esse gli vengono attribuite storie, che acquisirono una tale notorietà che l’intero continente ricevette il suo nome.

Vale a dire che questo intero enorme continente era già chiamato “America” ​​quando gli Stati Uniti ancora non esistevano e mancavano quasi tre secoli prima della loro indipendenza.

Non so se un giorno queste umili opinioni saranno ampiamente accettate, ma da queste pagine do il mio semplice contributo.

Forse, quando il rafforzamento delle identità e delle culture locali ha smentito la previsione che la globalizzazione stava portando a un mondo uniforme e omogeneo, ma con la forza con cui le comunicazioni del nostro tempo consentono alle nuove tendenze di diffondersi a livello globale, magari un giorno questi cambiamenti potranno prendere posto.

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Didascalia foto in ordine:

  1. Uno schermo aeroportuale, con alcuni nomi in versione italiana e altri in lingua originale.
  2. “America”, mappa dell’intero continente americano, con nomi in spagnolo.
  3. Amerigo Vespucci e un’antica mappa comprendente il Nuovo Continente.
  4. Europa, con i nomi delle sue nazioni in versione italiana.

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