(Impara l’arte e mettila da parte)

Chissà perché con il passare degli anni si tende ad essere nostalgici.

Più che proiettati verso il futuro ci si ripiega nei ricordi dei tempi passati, ed una sorta di malinconia ci pervade ripensando a ciò che si è vissuto e che ora non c’è più.

Guardando alle abitudini, al modo di vivere dei nostri figli cadiamo inevitabilmente in quella trappola di paragoni e confronti tra generazioni che tanto odiavamo da adolescenti e che ahimè oggi brandiamo come spade verso i nostri figli alla stessa stregua dei nostri genitori…..e con la stessa presunzione di pensare che la nostra generazione sia stata migliore della loro.

In estate i nostri figli vivono di notte. Lunghe nottate passate in piazza, davanti al bar, alle feste o anche solo in villa o sul muretto a parlare. Difficilmente rincasano prime delle 4 di mattina.

Dormono poi fino all’ora di pranzo, rare volte vanno al mare di pomeriggio (sono tutti pallidi) oppure organizzano una partitella di pallone, una cenetta tra di loro la sera, e di nuovo la lunga nottata….e quando fai notare loro la sregolatezza di quel vivere, rispondono che sono le loro meritate vacanze!

Le nostre estati erano lunghe ed interminabili, attese per un anno intero….3 lunghi mesi di vacanze scolastiche….decisamente troppo per le nostre mamme la cui quotidianità non contemplava l’ozio ed il dolce far niente.

dal web

Così già in famiglia partivano i turni per apparecchiare, sparecchiare, lavare i piatti, riassettare, andare a fare la spesa e commissioni varie ( i mmesciat ).

Per guadagnarsi il diritto ad uscire, passeggiare, rimanere fino a tardi nelle feste di paese, al pomeriggio bisognava impegnarsi in lavoretti o nell’ apprendere qualcosa che poi nella vita ci sarebbe tornato utile , con metodo e disciplina.

Nel caso di noi ragazze l’arte da apprendere era quella del ricamo,dell’ uncinetto, dei ferri……in molti casi il modo per poter avviare il proprio corredo, in altri per essere impegnate ed imparare qualcosa che nella vita delle donne di mezzo secolo fa era assolutamente necessario.

In paese c’erano le due “scuole” per eccellenza nel settore, mia zia Addolarata Silvaggio (sorella di Don Crescenzo) e Filomena Di Iorio .

dal web

Da mia zia Addolorata tante eravamo le ragazze che ogni pomeriggio ci ritrovavamo nella sua stanzetta di lavoro, che dava sul piano della Chiesa.

Chi aveva in mano il telaio, chi l’uncinetto, chi l’ago, ognuna assorta nel proprio lavoro, seguendo le indicazioni meticolose e precise di Addolorata .

Mentre si lavorava usava impartirci lezioni di vita: mille raccomandazioni di come le brave ragazze devono comportarsi. Ci raccontava storie vissute, aneddoti e tante favole (i cunt) con le morali più svariate.

Nella stanzetta non si alzava mai il tono di voce, poche volte si ascoltava la musica, e qualche parola trasgressiva (per quei tempi) veniva quasi sussurrata per non farla sentire ad Addolorata.

dal web “il Tombolo”

Erano ore di grande impegno, ma anche di forte intimità e comunità…..e spesso Addolorata , per premiarci della nostra costanza, ci faceva trovare le ferratelle con la crema…..era una gran festa!

A fine estate ognuno di noi aveva completato il proprio lavoro (molti dei quali credo che ognuno di noi possegga ancora!) e poteva dire di aver fatto decisi progressi nel campo del ricamo e dell’ uncinetto.

Soprattutto però si era raggiunto l’intento (all’epoca dei nostri genitori): apprendere un’arte, tenerci lontane dai vizi e dalle cattive abitudini, insegnarci il rispetto, la disciplina, il sacrificio e le rinunce.

Nella vita quegli insegnamenti ci sono tornati spesso utili!

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