All’interno di ogni famiglia si generano molti legami, ma a volte, per affinità, storie condivise e complicità, ci sono relazioni che acquisiscono un significato molto speciale e trascendente nella nostra vita.

Mateo Barbiera (in realtà Barbieri, col cognome modificato in Migrazioni, come tanti discendenti di immigrati) era mio nonno materno. Classe 1911, ho avuto la fortuna di averlo nella mia vita per 31 anni, fino alla sua morte nel 1995.

Lungo tutta la mia esistenza, la sua presenza è stata una realtà quotidiana. Passare intere giornate a casa dei miei nonni (che abitavano nella parte opposta della città rispetto a casa mia) era una festa.

Molto spesso mi aspettavano dopo la scuola e io passavo i pomeriggi con loro fino all’arrivo dei miei genitori.

La piazza del suo quartiere, con le sue amache, le altalene e gli scivoli, era il luogo dei miei giochi del fine settimana.

A casa sua ho imparato a camminare.

Nel corso degli anni, a quel forte affetto infantile si sono aggiunte affinità.

La stessa enorme passione per il calcio, che lui da giovane aveva giocato nei campionati dilettantistici della sua regione, anche se io sono un tifoso dell’Estudiantes e lui era del Boca Juniors.

In tempi in cui la televisione trasmetteva le partite in differita e in bianco e nero, la radio era l’evento calcistico della domenica pomeriggio.

E giocare a palla sul marciapiede.

E anche, a volte, siamo andati insieme allo stadio.

Avevamo gusti musicali comuni, entrambi molto appassionati di tango, cosa insolita per un bambino. Una musica che ho conosciuto seguendo con lui una serie televisiva ambientata a Buenos Aires all’inizio del Novecento. Lui era un bravo ballerino, era stato giovane in un periodo in cui per partecipare alle feste bisognava conoscere i diversi ritmi. Sono molto goffo e non ho mai potuto imparare a ballare il tango, nonostante i suoi sforzi infruttuosi per insegnarmi.

Abbiamo anche condiviso un interesse per la politica e la storia, con lunghi discorsi e aneddoti sui tempi che aveva vissuto. Fin da piccolo sono stato un appassionato fan della storia del secolo scorso, che mio nonno aveva vissuto quasi per intero.

Un’altra bellissima esperienza che abbiamo condiviso sono state le visite a Castelli, il suo luogo di nascita. Era la piccola città in cui erano giunti i suoi genitori alla fine del Ottocento e che era stato costretto a lasciare a causa degli sconvolgimenti politici in Argentina negli anni ’50.

Ma conservava sempre un profondo amore per il suo “paese”, lo visitava frequentemente e lì, per sua espressa volontà, riposano oggi le sue spoglie.

Le visite con mio nonno a Castelli, poi, sono state lunghe giornate piene di storie e aneddoti, in giro per i luoghi in cui quegli eventi sono stati accaduti.

Io, che di solito non visito i cimiteri, perché non sento che i miei cari “ci siano”, invece sento vivo il ricordo di mio nonno quando cammino per quei luoghi pieni della sua storia.

Ma soprattutto mio nonno mi ha trasmesso valori di vita che ho fatto miei, ho preservato e governano le mie azioni.

Mio nonno Mateo era il secondo di undici fratelli, figlio dei miei bisnonni Maria Meschini, nata a Milano, e Giuseppe Antonio Barbieri, molisano di San Giuliano di Puglia, dove nacque nel 1865. Entrambi morirono nel 1964, a pochi mesi prima della mia nascita.

Ad oggi sopravvive solo una sorella, di quasi cento anni.

Mio nonno venerava profondamente suo padre e raccontava storie e aneddoti su di lui più e più volte.

Giuseppe arrivò in Argentina preceduto dalla sorella, ma quando arrivò sbagliò il paesino di destinazione, e passò un anno finché, per caso, si poterono incontrare di nuovo. Una storia di fantasia.

Sempre ho rimpianto che tutte le indagini che, grazie alle moderne tecnologie, ho potuto fare sulla genealogia della famiglia, e il mio apprendimento della lingua italiana ed i miei viaggi in Italia, siano state fatte dopo la morte di mio nonno.

Sarebbe stato immensamente felice – e lo sarei anch’io – di condividere le mie scoperte, di far rivivere nella sua memoria i suoni giovanili della lingua della sua casa (e di una piccola comunità piena di immigrati), e sarebbe stato meraviglioso se avessimo potuto visitare l’Italia e, soprattutto, il paese di suo padre.

Nel mio primo viaggio in Italia nel 2008, con la gentilissima compagnia di Antonio Fasciano, sono stato a San Giuliano. Ma la scena, dopo la distruzione del terremoto, era triste e cupa, e con il dolore irreparabile delle vite perdute di tanti bambini.

Ricordo che la prima canzonetta che imparai, per caso e con la voce di Pavarotti, fu “Maria Mari”. Un giorno mia madre mi sentì cantare, e si ricordò che suo nonno Giuseppe la cantava regolarmente, come una cosa di tutti i giorni.

Ecco perché, in quel primo passo attraverso San Giuliano, sono arrivato con “María Mari” nel lettore CD della macchina, come una sorta di simbolico ritorno dei miei antenati nella loro terra natale.

Fortunatamente, al mio ritorno a gennaio 2020, ho potuto visitare una San Giuliano splendente, rinata dalle ceneri e molto bella, in un mezzogiorno di sole.

E ho sempre sentito che la stavo visitando a nome di mio nonno, che avrebbe versato incontrollabili lacrime di emozione se avesse potuto mettere piede nella terra dove nacque suo padre.

Sono passati più di 26 anni da quando mio nonno Mateo ha lasciato questo mondo, ma il suo ricordo è ancora vivo in me ogni giorno e, per questo motivo, ho voluto condividere questa storia su Il Ponte.

Sicuramente sarebbe stato affascinato, molto felice e orgoglioso, di sapere che la sua storia e la sua immagine sono apparse in una pubblicazione molisana e in italiano.

Lo dedico al suo ricordo più caro.

Didascalia foto in ordine:

  1. Mio nonno Mateo Barbieri, nel 1980, con 68 anni
  2. Nel 1981, nel suo 70mo compleanno
  3. Io, in un bello San Giuliano di Puglia, gennaio 2020
  4. Castelli, in Argentina, paese natale di mio nonno
  5. Castelli
  6. Piú giovane e con mia madre, nella mia casa natale
  7. Castelli
  8. Con 83 anni, dicembre 1994
  9. Miei nonni, miei genitori e mia sorella, nell’ultimo Natale insieme, nel 1994

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