I miei ricordi di bambina mi portano ad una settimana prima di Natale nella cucina di zia Gisetta riconosciuta da tutti come la pasticciera di famiglia! Le tre sorelle  dell’ ave Maria  chiamate così, ironicamente da mio padre il fratello più  piccolo, non perdevano occasione di rendere queste “ reunion” la scusa per divertirsi insieme.

Come dicevo  la cucina della zia si trasformava in sala dolci e così noi bambini assistevamo alla nascita dei piccoli capolavori con la marmellata, i “cavicioni”, e al friggi friggi delle “crespelle”,  il crepitare delle mandorle arrostite per fare i torroncini …

Sul tavolo enormi pezzi di cioccolato fondente pronti ad essere trasformati a seconda della necessità  in minuscoli pezzetti o liquido oro nero.

 Io la più  piccola nella gerarchia dei cugini aspettavo pazientemente il mio turno per assaggiare e nel mentre si svolgevano agguerrite partite a tombola con i ceci secchi che rotolavano sotto il tavolo…e tutto un urlare il 13 è  uscito? E il 5?…

Poi arrivava la vigilia di Natale e nel salone le lunghe file di tavoli di misura e altezza diversa erano rallegrati dalle tovaglie rosse con il merletto fatto dalla nonna, le sedie non bastavano mai e si faceva per ore la conta dei piatti e delle posate.

In cucina la nonna disponeva e controllava la cottura delle 9 cose di vigilia, a base di verdure, baccalà  e peperoni, lenticchie e cavolo fritto…

Una miscellanea di profumi e sapori che saziavano l’anima e preparavano la pancia!!!

Il fuoco nel caminetto alimentato dal “ tecchio” il pezzo più  grosso ardeva allegro e guai a dimenticare la tradizione,  il capo famiglia lanciava tra le fiamme una forchettata  di ogni cosa che avremmo mangiato…

E poi a cena si mangiava felici tra il brusìo delle chiacchiere , il tintinnìo delle forchette e le risate di zia Maria che si metteva la mano davanti la bocca nascondeva la testa nel braccio e rideva quando mio padre la riempiva di solletico. Zia Cesira sfoggiava sempre i suoi look eclettici,  sempre colorata e sbrilluccicosa mentre mia madre, timidamente, partecipava alla convivialità  di una famiglia,  quella di mio padre, sempre molto unita e molto numerosa.

E poi arrivava il momento della frutta e dei dolci. Zio Rocco era il fruttivendolo della famiglia e ogni volta portava cassette di mandarini ed arance, l’ananas e le banane e per finire noci e castagne a volontà…

Infine i dolci…cavicioni, crespelle, torroni, cicerchiata, biscotti pan di zenzero, pandoro ripieno, panettone alle creme e per la tradizione con l’uvetta…

C’era l’abbondanza a tavola, quella a cui oggi siamo troppo abituati tanto da non farci caso, la stessa a cui invece i nostri nonni non erano abituati e che trasformava la vigilia in un momento magico.

Ma la vera magia non la faceva il cibo  ma la faceva la gente! L’ amore della famiglia, l’unione, la  vicinanza erano i piatti di quel tavolo speciale…e non era importante se la nonna ti dava solo 5mila lire o se la zia ti portava il torrone bianco quello duro che non si rompeva nemmeno con il martello…quello che contava era la famiglia.

Oggi che sono mamma cerco di tenere vive almeno in piccolo queste tradizioni: ho fatto i torroncini pensando ai tuoi belli e tutti uguali, zia Gisetta, da lassù  non criticare troppo i miei tutti diversi nelle misure…ho fatto le pallotte “cac e ove” nonna Giovina,  le tue erano speciali  si assorbivano tutto il sugo per quanto erano leggere e ho pensato anche a te Papà  e avrei voluto averti qui a farmi il solletico come facevi con zia…

Il Natale che vorrei…

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