E’ quasi ultimato il bassorilievo in bronzo che dovrebbe rappresentare , o, ancora meglio , essere il simbolo di tutto il fenomeno migratorio che ha interessato questo nostro piccolo paese, da più di cento anni. Con grande partecipazione , sia degli artisti che si sono prodigati per la sua realizzazione, sia per la amministrazione di questa piccola comunità di Montorio, ma, soprattutto per i numerosi Montoriesi che risiedono all’estero, partiti da Montorio direttamente , oppure nati nella nuova patria adottiva, ma sempre con genitori montoriesi. “Il fenomeno migratorio”, rappresenta ancora oggi un problema molto complesso e molto articolato, che ha assunto delle caratteristiche specifiche , sia in relazione ai singoli paesi in cui il fenomeno migratorio è maggiormente diffuso, e sia, soprattutto per i motivi e le cause che hanno dato origine all’esodo massiccio di emigranti. Molto è stato scritto su questo fenomeno. Molto è stato detto e dibattuto, in analisi molto specifiche ed approfondite, da parte di studiosi e di ricercatori, che hanno evidenziato e messo a fuoco i motivi più rilevanti, più evidenti e più importanti di questo complesso e poliedrico fenomeno sociale.. Uno spazio molto ampio viene riservato agli aspetti antropologici e psicologici del problema, attraverso una ricca opera letteraria e storiografica, nella quale spesso “la poesia” ed ancor più la malinconia, il dolore, il distacco forzoso e traumatico dei luoghi natii, il distacco dalla famiglia nella quale si è cresciuti fin da bambini piccolissimi, occupano  tutta la sfera delle  emozioni e dei sentimenti di ognuno. La filosofa francese Simone Weil così scriveva: “E’ criminale tutto ciò che ha come effetto di sradicare un essere umano, o di impedirgli di mettere radici”. Fiumi di parole , dette e scritte, da riempire intere pareti di libri. In queste mie modeste e semplici riflessioni, io vorrei mettere in rilievo soprattutto gli aspetti storici del problema, che riguardano le caratteristiche e le forme delle condizioni materiali di produzione, le quali scaturiscono e prendono origine dalla appropriazione privata della terra, da parte di singoli o ristretti gruppi sociali , escludendo tutti gli altri dalla coltivazione diretta . Caratteristiche meglio definite come “Appropriazione originaria”, che inizia proprio con le prime forme di agricoltura , risalenti a millenni addietro, nella antica Mesopotamia. Aspetto fondamentale della coltivazione agricola della terra, che è presente ancora oggi in tutto il mondo, assumendo caratteristiche specifiche della proprietà della terra, da produzione sociale basata sulla piccola estensione della proprietà, alla coltivazione capitalistica della terra, nella età moderna, grazie allo sviluppo della meccanizzazione e della tecnologia chimica ed informatizzata applicata alla coltivazione. Fino alle forme più sviluppate della proprietà privata capitalistica che viene definita come “Farm Land Grabbing”, esteso su scala globale di tutti i continenti. A tutto questo fenomeno storico , sociale e politico, a cui è rivolto maggiormente lo studio della sociologia, fanno da impianto strutturale caratteristico, la divisione in classi sociali della popolazione e la divisione sociale del lavoro, Se una parte ristretta della popolazione si appropria della intera superficie della terra coltivabile, la restante parte della popolazione può sopravvivere solamente grazie alla capacità lavorativa, di cui i padroni della terra hanno bisogno, per poter coltivare delle superficie molto grandi , rispetto alle tecniche disponibili e alla disponibilità di animali da utilizzare nelle varie operazioni della coltivazione, o nell’allevamento del bestiame su larga scala, attraverso il pascolo allo stato semi brado. E’ questo lo scenario storico , Italiano , meridionale ed anche montoriese , dal quale ha preso avvio il fenomeno migratorio di intere famiglie e gruppi sociali, che non erano riusciti ad appropriarsi di un pezzo di terra da coltivare, oppure pur avendolo avuto, a causa di tecniche arcaiche, o di male annate di raccolti scarsi che non coprivano nemmeno i costi anticipati per la coltivazione, dovevano vendere quel pezzo di terra. Nella migliore condizione. Oppure venivano espropriati, proprio perché non avevano potuto ripagare il debito contratto per l’acquisto del seme o di qualche altro prestito. Come il nonno di un mio amico, che fu privato di cinque ettari di terreno, perché non aveva ripagato il debito pel l’acquisto di un cappello, in occasione del matrimonio della figlia. Sfruttamento salariato. Usura. Andare a padrone come garzone o massaro. Condizioni lavorative di sfruttamento. condizioni igieniche e sanitarie inesistenti. Vestiti vecchi e rattoppati. pieni di pidocchi o di altri animali da compagnia. E’ questo un piccolo cerino acceso per fare luce su una realtà di miseria e di povertà in cui versava la maggior parte della popolazione italiana. Il lavoro e lo sfruttamento di grandi masse di lavoratori, in condizioni di lavoro gravose, per permettere ai Signori Proprietari di poter condure una vita agiata, secondo i canoni del vecchio modo di produzione feudale, che si era tramandato fin dopo la prima guerra mondiale, ed in maniera massiccia anche dopo la seconda guerra mondiale. E’ questo lo scenario da tenere in considerazione , in questa estrema sintesi storica , riferita all’agricoltura, da cui ha preso avvio il processo emigratorio. Certamente si potrebbero scrivere dei trattati molto approfonditi e analitici. Ma questi brevi cenni storici, vogliono essere di invito a tutti i montoriesi per condurre una riflessione un pò più approfondita, magari consultando quel preziosissimo libro scritto da Guido Vincelli, che esegue una analisi storica ed antropologica, specifica proprio su Montorio , riferita alle dinamiche demografiche riguardanti il complesso fenomeno della emigrazione, ma anche e soprattutto sulle condizioni sociali ed economiche di questo piccolo paese dell’Italia meridionale, ma valide per lo studio di altre realtà molto simili. Quindi ben venga il messaggio di dolore e di sofferenza descritto con preziosa ricchezza di sentimenti e di sofferenza, con il quale la nostra compaesana Filomena de Michele Paventi ha avuto dei particolari riconoscimenti per la sua opera. Ben vengano i versi in dialetto montoriese di Bruno Zappone, che descrivono in maniera profonda e vissuta il distacco della terra natia e la partenza dal porto di Napoli.  Ma io qui voglio ringraziare anche tanti montoriesi emigrati in tempi anche molto lontani, che pur non sapendo esprimere con tante belle parole i loro pensieri, e pur restando in seconda fila, ma sempre presenti con la loro cultura e la loro educazione, anche in un lungo e sofferto silenzio, hanno contribuito con il loro lavoro ed il loro sacrificio a ridare valore e dignità a tanti montoriesi , onesti e laboriosi ,che hanno dovuto prendere la strada della emigrazione. A tutti quanti va il mio personale saluto . A tutti i montoriesi emigrati in tanti Stati del mondo intero l’amministrazione comunale ha dedicato ed offre questo importante monumento, ideato e realizzato dalla intelligenza di Andrea, ma rivolto con solenne partecipazioni a tutti gli emigrati di questa piccola comunità.   

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Un pensiero su ““Mamma dammi 100 lire che in America voglio andar””
  1. Grazie Alfredo di questo bellissimo se pur triste riassunto che hai fatto sull’emigrazione hai perfettamente ragione i montoriesi emigranti ti sono grati di queste tue giuste riflessioni ma solo chi è partito lo può capire di più ogni tanto quei ricordi se pur un po’ sbiaditi dal tempo? Oppure forse lo volevamo dimenticare? Non lo so ma so che adesso con l’età che avanza quei ricordi riaffiorano e con veemenza anche nella mente e vero come di cevano gli anziani che le cose di prima non si dimenticano son ben radicate .Bhe non è che vivo nel passato ma ogni tanto qualche lacrima prepotentemente solca il mio viso .Ed io che sono così buona haha la faccio rigare le mie gote un po’ invecchiate un po’ sfiorite ma il passato deve pur ritornare ogni tanto senô non c’è presente vero?Quando guardò la mia bella PROGENITURA mi dico ha valso il nostro sacrificio. Alfredo ricordo parecchi anni fa quando ero un po’ più giovane nel salone sottostante la mia parrocchia ho fatto parecchi teatri ma uno che era quasi come la nostra avventura ma si svolgeva nel Paranà sai com’è si chiamava ? SACRIFICIO DI MAMMA E IN QUEL TEATRO HO PIANTO ABBASTANZA ANCHE CARLO MI DISSE FILOMÉ MA CHIAGNIV VERAMENTE. Io dissi scin e mo sctatt zittt sennò e rcmenz e chiagn GRAZIE DI QUESTO BELL’ARTICOLO ORA MI SON TRASLOCATA IN UNA BELLA RESIDENZA E I RICORDI RITORNANO ANCORA DI PIÛ MA POI CERCO DI DISTRARMI GRAZIE TANTI SALUTI UN ABBRACCIO

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